La tomba di San Pietro in Vaticano
Margherita GUARDUCCI
La verità della tomba di
san Pietro
tratto da: Tracce.
Litterae Communionis, anno XXVI, ottobre
1999, p. 72-77
Intervento al Centro
culturale di Milano, 1990
Che cosa dice da secoli la tradizione della
Chiesa? Dice che Pietro, il pescatore di
Galilea, quello che Cristo stesso
considerava «protos», il primo dei suoi
discepoli, il principe degli apostoli fino
ad allora, venne a Roma a predicare la buona
novella; che a Roma morì martire sotto
Nerone nel 64, nel Circo Vaticano, fu
sepolto a breve distanza dal luogo del suo
martirio, e sulla sua tomba, all'inizio del
IV secolo, l'imperatore Costantino fece
costruire la grande basilica vaticana.
Questa tradizione secolare della Chiesa
cominciò, a un certo momento, a suscitare
dissensi da parte degli avversari della
Chiesa, e i dissensi giunsero al punto che
qualcuno si credette in obbligo di dire,
contro ogni verità storica, che Pietro non
era mai venuto a Roma, tanto per poter
negare la presenza della tomba di Pietro in
Vaticano; che è di suprema importanza, in
quanto dire tomba di san Pietro a Roma, in
Vaticano, significa in un certo senso dire
primato della Chiesa di Roma.
Bisognò arrivare a Pio XII, uomo di
altissimo ingegno, di grande cultura, di
grandissima umanità e dotato di uno spirito
veramente lungimirante. Appena eletto Papa,
nel 1939, volle aprire alla scienza i
sotterranei della basilica vaticana e
cercare una risposta alla secolare domanda.
Gli scavi cominciarono e durarono fino al
1949. Furono scavi anormali, in cui molto si
distrusse e furono commesse cose quasi
inaudite.
Altari come «matrioske»
Trovarono una necropoli, un antico e vasto
cimitero, che andava da est a ovest ed era
parallelo al Circo di Nerone, quello stesso
circo in cui Pietro aveva subìto il
martirio. Questa vasta necropoli era stata
riempita di terra. Perché Costantino, o chi
per lui (il papa Silvestro fu il grande
consigliere di Costantino), voleva fare il
piano su cui la prima basilica in onore di
Pietro doveva essere fondata.
Cosa si trovò sotto l'altare papale? Una
successione di monumenti e di altari: uno
sotto l'altro, uno dentro l'altro. Ciò
significava che quel luogo, il luogo della
confessione, era stato da tempo, da secoli
oggetto del culto di Pietro. Sotto l'altare
papale, che è l'altare attuale, di Clemente
VIII (1594), se ne trovò un altro
precedente, di Callisto II (1123); dentro
l'altare di Callisto II si trovò l'altare di
Gregorio Magno (590-604); l'altare di
Gregorio Magno, a sua volta, poggiava sopra
il monumento che Costantino ancora prima di
costruire la basilica, aveva fatto erigere
sul luogo della tomba di Pietro, e questo
monumento costantiniano può essere datato
fra il 321 e il 326. Questo monumento di
Costantino comprendeva un monumento più
antico, che risaliva al II secolo, il primo
monumento di Pietro. Poi che cosa fu
incluso? Ci fu incluso una parte di un
piccolo edificio che si trovava addossato a
un certo muro rosso che faceva da sfondo al
primo monumento di Pietro. In questo piccolo
edificio, c'era un muro coperto di graffiti,
di antiche iscrizioni (naturalmente
anteriori al monumento di Costantino, perché
furono incluse dentro il monumento di
Costantino), coperte di epigrafi che
indicavano col loro affollamento l'immensa
devozione dei fedeli. Poi, oltre questo, si
vide che il primo monumento di san Pietro
aveva nel pavimento un chiusino, il quale
indicava la presenza di un'antica tomba in
terra, sulla quale tutti questi monumenti si
erano sovrapposti. Sotto questo chiusino,
purtroppo, non c'era nulla. Si trovò la
terra sconvolta e vuota.
Radiomessaggio rivoluzionario
Questo era lo stato delle cose quando si
chiusero gli scavi del 1940-49. Pio XII nel
radiomessaggio del Natale 1950 dette notizia
al mondo degli avvenuti scavi e disse che la
tomba di Pietro era stata ritrovata.
Cominciai a occuparmi degli scavi di San
Pietro, a scavi terminati e a relazione già
pubblicata, nel 1952.
Uno degli scavatori aveva pubblicato,
seppure inesattamente, un certo graffito che
sarebbe stato trovato proprio sul luogo dove
c'era il muro coperto di graffiti del quale
ho parlato. Avevo già avuto occasione di
conoscere un certo graffito, dove avevo
intuito la lettura «Petrus eni» («eni» nel
senso di «enesti»: Pietro è dentro). Fu
allora che chiesi a Pio XII di visitare gli
scavi, ma nessuno poteva accedervi. Pio XII
mi concesse il permesso. Allora cominciai a
cercare il graffito, questo «Petrus eni», e
non c'era, perché uno degli scavatori
l'aveva portato a casa sua.
Entrata nel 1952, ho lavorato fino al 1965,
sono stati anni di intensissimo lavoro.
Cominciai a studiare il muro dei graffiti,
che era stato incluso nel monumento
costantiniano. Ora, questo muro era una
selva selvaggia, e io disperavo veramente di
levarne le gambe -come si suol dire- però,
con pazienza, mi misi e cercai di decifrare.
Durò mesi la mia decifrazione, fu una delle
decifrazioni più difficili che mi occorse di
fare. Poi, a un certo momento, afferrai il
bandolo della matassa e riuscii a capire. Lì
si era usata una crittografia mistica, cioè
si giocava, in un certo senso, sulle lettere
dell'alfabeto. Lì c'era a esuberanza il nome
di Pietro, espresso con le lettere P, PE,
PET, e unito di solito col nome di Cristo,
col simbolo di Cristo, con la sigla di
Cristo e col nome di Maria, e soprattutto
dominavano, su questo muro, le acclamazioni
alla vittoria di Cristo, Pietro e Maria. Poi
c'era il ricordo della Trinità, il ricordo
di Cristo seconda persona della Trinità, e
via di seguito. Insomma, tutta la teologia
del tempo era lì, squadernata su questo
muro.
A colpi di cartoccia
Poi fu la volta delle ossa di Pietro. In un
primo momento ero lontana mille miglia
dall'idea che avrei potuto un giorno mettere
le mani sulle ossa di Pietro.
Però, mentre ancora stavo decifrando i
graffiti (ancora nel 1953), cominciai ad
avere in mano le ossa di Pietro. Le ossa di
Pietro stavano nella tomba in terra sotto il
chiusino, come la tradizione della Chiesa
aveva sempre dichiarato. Poi, quando
Costantino volle fare il monumento in onore
dell'Apostolo, le ossa furono prelevate
dalla terra e ravvolte in un prezioso drappo
di porpora e d'oro e deposte in questo
loculo, e poi questo loculo chiuso per
sempre.
Era avvenuto che, durante gli scavi, gli
scavatori, volendo indagare in questo luogo
che la tradizione indicava come il luogo
della sepoltura di Pietro, andavano un pò
per le spicce. A colpi di cartoccia (la
cartoccia è quello strumento per piantare i
pali nel terreno duro) sfondarono l'altare
di Callisto II per arrivare il più presto
possibile al luogo stesso. E che cosa
avvenne? Sotto i forti colpi della cartoccia
cadde, dall'interno del muro, una quantità
di calcinacci, dall'interno e dall'esterno,
voglio dire dall'antico muro coperto di
intonaco rosso, e tutti si riversarono in
questo loculo, sopra le disgraziate ossa che
erano state deposte da Costantino nel loculo
del monumento. Così si presentò come un
ammasso di detriti, non si riconobbero le
ossa.
In quel momento era capo della Fabbrica di
San Pietro un uomo intelligente, molto pio,
molto sensibile al non lasciare allo
scoperto le ossa di chiunque, cristiani o
pagani che fossero. Monsignor Ksas (uomo di
fiducia di Pio XII) notò che fra questi
detriti del loculo c'erano delle ossa. Fece
buttar via i detriti, raccogliere le ossa
dentro una cassetta e la mise in un
ripostiglio delle grotte vaticane, dove
rimasero ignorate per dieci anni.
C'erano delle ossa con fili d'oro e pezzetti
minuscoli di tessuto color porpora.
Un antropologo di mia fiducia, il professor
Correnti, prese in esame il gruppo di ossa
della cassetta, e mi disse: "Mah, è una cosa
strana, perché gli altri gruppi che mi hanno
fatto esaminare erano tutti di diversi
individui, questo è di uno solo". Domandai:
"Di che sesso?". Disse: "Maschile". "Età?".
"Senile". "Corporatura?". "Robusta".
Non per «puro caso»
Nel ‘64 gli esami erano compiuti. Nel ‘65
uscì il mio libro «Le reliquie di san Pietro
sotto la confessione della basilica
vaticana», e lì cominciò a scatenarsi la
tempesta, perché alcuni, anzi molti, erano
felici del risultato; altri no.
Dopo la mia messa a punto che uscì nel ‘67,
Paolo VI si trovò obbligato ad annunciare
che le ossa di Pietro erano state ritrovate.
Noi sappiamo che Cristo fondò la sua Chiesa
sulla roccia di Pietro e le promise la
vittoria sulle forze del male. Ora, mi
sembra che non sia un puro caso che le ossa
del principe degli apostoli, di Pietro, si
siano -per miracolosa eccezione- conservate
e che siano, per l'appunto, dentro la
basilica vaticana, cioè al centro di quella
chiesa che -per definizione- è universale.
Loro sanno che «catholicos» vuol dire, in
greco, universale.
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